Cosa dicono i Muta Imago? E soprattutto cosa raccontano le immagini che senza posa si compongono e si scompongono, affiorano e si ritraggono nel cineteatro del cubo magico del loro ultimo spettacolo? Anche volendolo, non c’è tempo per indovinare il “prestigio” di questo alto illusionismo che trasforma una storia semplice – la più semplice possibile: quella di due amanti separati dalla guerra – in un balletto di apparizioni dove il corpo è in un luogo e l’ombra in un altro: dove il corpo è piccolo, raccolto in una scorza di luce assediata dalla notte, composto in un’immaginetta come quella, accurata fino ad essere leccata, della cena a due (con quel vino color rubino che gorgoglia e ipnotizza, attraendo e nel contempo deviando lo sguardo dalla sensualità discreta dell’intero quadro), mentre l’ombra è immensa, cangiante, moltitudinaria, come se del corpo avesse ereditato tutta la libertà e la sofferenza, la disperata volontà di continuare a essere oltre i confini che lo inchiodano nello spazio della Storia...
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