martedì 29 aprile 2008

NOTHING COMPARES TO LETTERA22



Avviso ai miei lettori


Con una lettera inviata oggi alla Federazione nazionale della stampa e ai direttori dei quotidiani e periodici italiani con i quali collaboriamo da ormai quindici anni, l'associazione indipendente di giornalisti Lettera22 (www.lettera22.it) ha preso le distanze dalla neonata Associazione giornalisti per le libertà “Lettera22info” nata alcuni giorni fa e sulla quale sono uscite indiscrezioni di stampa non smentite dall'associazione stessa. Le indiscrezioni attribuiscono a tale associazione, non solo una precisa parte politica, ma anche un riferimento alla marcia su Roma e altri nostalgici orpelli del Ventennio. Nel sottolineare che utilizzare la dizione “Lettera22” per un'associazione tra giornalisti quando già ne esiste una da 15 anni non è propriamente indicativo di fantasia e di correttezza professionale, la redazione di Lettera22 ha voluto informare i lettori dei giornali con cui collabora (oltre una trentina in Italia) e quelli del sito Lettera22.it (circa 40mila lettori singoli ogni mese per circa un milione di contatti) , che il 22 che segue alla parola “lettera” non ha nulla a che vedere con la data (1922) nella quale venne fatta la marcia su Roma e che dunque tra lettera22.it e lettera22info non esiste nessuna relazione


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domenica 27 aprile 2008

Il Corpo e l'Ombra. La guerra dei Muta Imago



Cosa dicono i Muta Imago? E soprattutto cosa raccontano le immagini che senza posa si compongono e si scompongono, affiorano e si ritraggono nel cineteatro del cubo magico del loro ultimo spettacolo? Anche volendolo, non c’è tempo per indovinare il “prestigio” di questo alto illusionismo che trasforma una storia semplice – la più semplice possibile: quella di due amanti separati dalla guerra – in un balletto di apparizioni dove il corpo è in un luogo e l’ombra in un altro: dove il corpo è piccolo, raccolto in una scorza di luce assediata dalla notte, composto in un’immaginetta come quella, accurata fino ad essere leccata, della cena a due (con quel vino color rubino che gorgoglia e ipnotizza, attraendo e nel contempo deviando lo sguardo dalla sensualità discreta dell’intero quadro), mentre l’ombra è immensa, cangiante, moltitudinaria, come se del corpo avesse ereditato tutta la libertà e la sofferenza, la disperata volontà di continuare a essere oltre i confini che lo inchiodano nello spazio della Storia...

venerdì 25 aprile 2008

Coi più crudeli

Ora che tutto si è risolto e si è dissolto, è almeno chiaro che gli uomini intenti, già da sabato scorso, a scambiarsi mail di lancinante derisione (una risata ci seppellirà) sugli aerei in partenza per il Nepal maoista e quelli che domenica si recavano con la testa bassa tra le spalle quadre a tatuare la propria paura sulla scheda elettorale, in questi anni non si erano mai incrociati neanche con lo sguardo - figurarsi con il pensiero. Il paese reale non difetta tanto di piazze - vuote e metafisiche - in cui calare, tornare e rigenerare il narcisismo ferito della rappresentanza, quanto di strade in cui alzare gli occhi su quelli che no, non sono noi. Nella patria terrestre del cattolicesimo romano il prossimo è una regola che si disincarna nella totale mancanza di eccezioni (proprio come richiede, in fondo, il razionalismo isterico di questo pontificato). Nella terra di elezione del fratricidio, l'odio non si è mai scambiato a quotazioni così alte sul mercato dei pubblici sentimenti - e mai nel contempo è apparso così stanco, così rassegnato, così privo di eloquenza e di entusiasmo: neanche il «ritorneremo» promesso (e sempre mancato) dai fascisti a Roma riesce a prendere il sapore acre e sanguigno del trionfo. Ora che hanno riscoperto il territorio e le frontiere, gli italiani sentono di non avere più la terra sotto i piedi, nel solenne momento del ritorno dell'identità - dell'ordine, del governo finalmente governato e non più solo governabile - scoprono che l'unico valore che li accomuna è l'individuazione bipartisan di un capro espiatorio: i poveri hanno raggiunto i più ricchi dei ricchi ai piedi della pira, nella speranza che il sacrificio dei più poveri dei poveri li riscaldi e soprattutto li risparmi. Alla fine dei conti hanno seguito l'indicazione di quella bambina ungherese che interrogata dopo la repressione sovietica del 1956 sul partito con cui si sarebbe schierata una volta grande rispose: con il più crudele, e alla domanda sul perché aggiunse «perché è quello che mi proteggerà meglio». Ma già l'odio è fiaccato dal sospetto di non bastare alla paura che, da brava paura della paura, è infinita e cava, più forte di ciascuno degli spettri chiamati a raccolta dal suo flauto di ossa. Chiuderemo le frontiere, purificheremo le strade, butteremo a mare tutti i loro che non sono il noi di una comunità costituita solo da impauriti e da ipocondriaci, da servi e da padroni legati da una nuova fedeltà feudale. Ma poi anche il nostro giardino recintato prenderà l'aspetto di un angoscioso deserto irto di minacce, una galera troppo stretta ma, misteriosamente ancora troppo vasta. E non è detto che «finalmente si potrà dormire» con la tranquillità dei morti, come auspicava la voce profetica (e amorosa) dei coniugi di Erba. Questo contributo è stato pubblicato come editoriale su Derive/Approdi