giovedì 15 maggio 2008

ZINGARI


Vengono da lontano ma non vanno più lontano: da quando la modernità ha cancellato gli spazi liberi tra una proprietà e l’altra, inquinato i fiumi, ridotto gli animali a pelouche o a carne da macello, inventato la metropoli e poi trasformato il mondo in una “metacittà”, gli zingari si fermano ai confini della prossima città, nidificano nella prossima periferia, ammassando baracche di lamiera a roulottes e costruendo architetture precarie che sono un inno al residuo, al rifiuto, al degrado ( a tutto quello che vomitiamo e non ci va di vedere) Nella memoria nomade che la sparizione delle strade, uccise dalla velocità dei tempi di percorrenza, ha stanzializzato a forza, custodiscono i segreti inutili di un’antica inciviltà che oggi sfugge persino a loro: la musica e la premonizione, la conoscenza degli animali e quella dei metalli arcaici come il rame e il ferro...leggi il seguito suhttp://www.lettera22.it/showart.php?id=9103&rubrica=28

lunedì 12 maggio 2008

Sichuan, morte e modernità. Un articolo di Emanuele Giordana


Era l'anno della Cina, nel bene e nel male, e una grande catastrofe è venuta a suggellare il contradditorio miracolo della potenza che negli ultimi anni si è sviluppata più rapidamente, e con più noncuranza degli effetti umani e ambientali del suo sviluppo, fino a diventare la croce e la delizia degli economisti contemporanei (l'ultimo libro di Giulio Tremonti ne porta delle tracce quasi ossessive). Ora il drago cinese è un personaggio da tragedia piegato in due dal terremoto del Sichuan: più di diecimila persone, stando alle ultime stime, sono state spazzate via da una furia elementale e imprevedibile. Ma per quanto naturali, i disastri non sono sempre neutrali e la modernizzazione della Cina che ha destato l'ammirazione invidiosa di tanto liberismo nostrano (nostalgico degli spiriti animali del primo capitalismo) ha funzionato come un moltiplicatore della tragedia. E' quanto spiega con grande chiarezza il mio amico Emanuele Giordana in un'analisi pubblicata sul Mattino che potete leggere qui sottohttp://www.lettera22.it/showart.php?id=9071&rubrica=28

mercoledì 7 maggio 2008

ASSASSINI

Picchiano e uccidono. Perché picchiano fino a uccidere a calci e pugni un loro coetaneo? Per nulla, dice l’onorevole Mantovano di An, perché come sostiene il Papa, non hanno più valori e non ci sono più famiglie. No, replica l’ex ministro Paolo Ferrero, di valori i giovani neonazisti di Verona ne hanno anche troppi e vorticano come mosche impazzite nel loro piccolo cervello. E hanno torto entrambi. Perché l’omicidio di Verona non è politico, ma è il frutto di una mutazione antropologica che nella politica italiana, più che una responsabilità, trova un’ampia e desolata sponda: lo spazio vuoto in cui tutte le derive possono ormai defluire. Quel vuoto – “di carità e di cultura” diceva Pasolini – è la cassa ideale per far risuonare l’ iperbole di un io nullo ed abnorme. E il fascismo è la prima iperbole che si presenta all’appello delle solitudini troppo compresse, l’iperbole in cui tutte le altre si riassumono si spalleggiano, si moltiplicano: dio patria famiglia razza noi io. Io: un dio e noi un branco di dei dalla testa d’oro. Tu: un cane. Voi: una muta di cani. Loro: un nido di scarafaggi. Nemici sparsi ovunque: sugli spalti dello stadio alzano un colore straniero che ci offende, sui gradini della chiesa infettano il decoro della città, sulle bancarelle e agli angoli delle strade ci rubano il lavoro. L’odio che è schizzato come una vampata isterica nel linciaggio di Verona – poca favilla gran fiamma seconda: basta una sigaretta per incendiare un bosco o spezzare una vita – è interclassista, racconta la stessa favola del voto del 13 aprile: c’erano una volta un metalmeccanico e un promotore finanziario, uno studente e un ragazzo di buona famiglia, e tutti insieme… Ma è così iperbolico che alla fine l’onorevole Mantovano, pur di non guardarlo in faccia, non può far altro che vedere in esso la vertigine del nulla, il nulla dei valori. Senza neanche riuscire a immaginare – e sì che una volta la destra almeno il suo Nietzsche lo frequentava – che tra il nulla dei valori e il troppo dell’identità c’è un rapporto necessario. Che basta scoperchiare il vaso di Pandora dell’identità per essere investiti dal vento assassino del nulla.

martedì 6 maggio 2008

Sul Tetto del mondo



Compassione e soprattutto molta lotta nel Tibet che il libro curato da Emanuele Giordana (Lettera22) per le edizioni Il riformista ricostruisce come un prisma delle contraddizioni del mondo globalizzato, incerto se chiudere gli occhi, in nome degli affari, o spalancarli, in nome dei diritti umani, sull'ordine sanguinoso che l'olimpico imperialismo cinese fa regnare a Lhasa. Non perdetelo, è in edicola oggi con il quotidiano rosa e poi passerà in libreria. Introdotto da Antonio Polito, raccoglie i contributi di Junko Terao (altra letterista), Ilaria Maria Sala, Pietro Verni, Carlo Buldrini. Nel link di questa pagina trovate la presentazione e il bel prologo in cui Giordana segna un'altra stazione dell'ondivago pellegrinaggio che da tempo va compiendo: quello che ricongiunge la geografia alla memoria, il passato al presente di un'Asia guardata oggi ma con gli occhi della gioventù libertaria anni '70 che nel suoi orizzonti perduti cercava l'altrove. Tranne a scoprire che anche a Shangri La era arrivata la guerra. Perché la Storia, come diceva Joyce, è un incubo. E il mondo non segue la "via di mezzo"....http://www.lettera22.it/showart.php?id=8968&rubrica=146

sabato 3 maggio 2008

A la guerre comme à la guerre. Corsini fa la faccia feroce


A la guerre comme à la guerre: Corsini Paolo (lettera22.info) torna sul caso dell’omonimia tra la sua e la nostra Lettera 22 e sul suo blog ci accusa di ogni nefandezza: di essere prima obnubilati dal pregiudizio ideologico, poi dei biechi commercianti in cerca di pubblicità gratuita. Due cose che stridono tra loro, visto che ideologia e mercato tendono a elidersi vicendevolmente. Con tutta la volgarità di cui è capace (molta) Corsini intende evidentemente rimproverarci di vivere del nostro lavoro di giornalisti indipendenti, professionisti ma privi di tutele contrattuali e patti integrativi e per spaventarci di più, giunto al termine della sua intemerata, tira giù tutti i numi tutelari che, dalla Fnsi a Stampa Romana, hanno presieduto alla nascita della sua associazione. E’ un uomo ben protetto, Corsini. E noi siamo sinceramente impressionati dall'eccellenza delle sue protezioni declinata, con tanto di sentiti ringraziamenti agli interessati, in perfetto stile “lei non sa chi sono io” . Lo siamo anche dalle sue contraddizioni. All'inizio del suo fervorino, trasudava ironia guascona e il giornalismo a cui affermava di ispirarsi, tutto libertà coraggio e avventura, sembrava una specie di sport estremo. Alla fine si è ridotto a chiamare in aiuto mamma e papà.

MARTIRIO ITALIANO




Da Bossi a Giorgia Meloni, passando per l'anniversario di Aldo Moro, chiamare in causa i martiri va di moda. Tanto a morire sono sempre gli altri


Il futuro ministro delle riforme Umberto Bossi ha trecentomila martiri pronti ad immolarsi se solo la sinistra dovesse muovere un dito contro le riforme della Lega. L'ex vice-presidente della Camera Giorgia Meloni dice che anche i ragazzi del Fronte della Gioventù uccisi negli anni ’70 sono dei “martiri di Italia”. Poi corregge il tiro e dà una versione bipartisan del suo pensiero: anche dall’altra parte della barricata, aggiunge nell’intervista a Klaus Davi, ci furono dei casi simili, cioè dei martiri. Aldo Moro che verrà celebrato in questi giorni – il 9 maggio è vicino – è da tempo presentato come un martire della democrazia. L’Italia che non ha mai brillato per il coraggio delle rivoluzioni, anche di quelle che si potevano fare, è sempre stata sensibile al prestigio del sangue che le irrora e alla memoria delle vittime, quasi sempre cadute in guerre che non osavano dichiararsi....

Leggi tutto su Lettera22

martedì 29 aprile 2008

NOTHING COMPARES TO LETTERA22



Avviso ai miei lettori


Con una lettera inviata oggi alla Federazione nazionale della stampa e ai direttori dei quotidiani e periodici italiani con i quali collaboriamo da ormai quindici anni, l'associazione indipendente di giornalisti Lettera22 (www.lettera22.it) ha preso le distanze dalla neonata Associazione giornalisti per le libertà “Lettera22info” nata alcuni giorni fa e sulla quale sono uscite indiscrezioni di stampa non smentite dall'associazione stessa. Le indiscrezioni attribuiscono a tale associazione, non solo una precisa parte politica, ma anche un riferimento alla marcia su Roma e altri nostalgici orpelli del Ventennio. Nel sottolineare che utilizzare la dizione “Lettera22” per un'associazione tra giornalisti quando già ne esiste una da 15 anni non è propriamente indicativo di fantasia e di correttezza professionale, la redazione di Lettera22 ha voluto informare i lettori dei giornali con cui collabora (oltre una trentina in Italia) e quelli del sito Lettera22.it (circa 40mila lettori singoli ogni mese per circa un milione di contatti) , che il 22 che segue alla parola “lettera” non ha nulla a che vedere con la data (1922) nella quale venne fatta la marcia su Roma e che dunque tra lettera22.it e lettera22info non esiste nessuna relazione


vai al sito di Lettera22

domenica 27 aprile 2008

Il Corpo e l'Ombra. La guerra dei Muta Imago



Cosa dicono i Muta Imago? E soprattutto cosa raccontano le immagini che senza posa si compongono e si scompongono, affiorano e si ritraggono nel cineteatro del cubo magico del loro ultimo spettacolo? Anche volendolo, non c’è tempo per indovinare il “prestigio” di questo alto illusionismo che trasforma una storia semplice – la più semplice possibile: quella di due amanti separati dalla guerra – in un balletto di apparizioni dove il corpo è in un luogo e l’ombra in un altro: dove il corpo è piccolo, raccolto in una scorza di luce assediata dalla notte, composto in un’immaginetta come quella, accurata fino ad essere leccata, della cena a due (con quel vino color rubino che gorgoglia e ipnotizza, attraendo e nel contempo deviando lo sguardo dalla sensualità discreta dell’intero quadro), mentre l’ombra è immensa, cangiante, moltitudinaria, come se del corpo avesse ereditato tutta la libertà e la sofferenza, la disperata volontà di continuare a essere oltre i confini che lo inchiodano nello spazio della Storia...

venerdì 25 aprile 2008

Coi più crudeli

Ora che tutto si è risolto e si è dissolto, è almeno chiaro che gli uomini intenti, già da sabato scorso, a scambiarsi mail di lancinante derisione (una risata ci seppellirà) sugli aerei in partenza per il Nepal maoista e quelli che domenica si recavano con la testa bassa tra le spalle quadre a tatuare la propria paura sulla scheda elettorale, in questi anni non si erano mai incrociati neanche con lo sguardo - figurarsi con il pensiero. Il paese reale non difetta tanto di piazze - vuote e metafisiche - in cui calare, tornare e rigenerare il narcisismo ferito della rappresentanza, quanto di strade in cui alzare gli occhi su quelli che no, non sono noi. Nella patria terrestre del cattolicesimo romano il prossimo è una regola che si disincarna nella totale mancanza di eccezioni (proprio come richiede, in fondo, il razionalismo isterico di questo pontificato). Nella terra di elezione del fratricidio, l'odio non si è mai scambiato a quotazioni così alte sul mercato dei pubblici sentimenti - e mai nel contempo è apparso così stanco, così rassegnato, così privo di eloquenza e di entusiasmo: neanche il «ritorneremo» promesso (e sempre mancato) dai fascisti a Roma riesce a prendere il sapore acre e sanguigno del trionfo. Ora che hanno riscoperto il territorio e le frontiere, gli italiani sentono di non avere più la terra sotto i piedi, nel solenne momento del ritorno dell'identità - dell'ordine, del governo finalmente governato e non più solo governabile - scoprono che l'unico valore che li accomuna è l'individuazione bipartisan di un capro espiatorio: i poveri hanno raggiunto i più ricchi dei ricchi ai piedi della pira, nella speranza che il sacrificio dei più poveri dei poveri li riscaldi e soprattutto li risparmi. Alla fine dei conti hanno seguito l'indicazione di quella bambina ungherese che interrogata dopo la repressione sovietica del 1956 sul partito con cui si sarebbe schierata una volta grande rispose: con il più crudele, e alla domanda sul perché aggiunse «perché è quello che mi proteggerà meglio». Ma già l'odio è fiaccato dal sospetto di non bastare alla paura che, da brava paura della paura, è infinita e cava, più forte di ciascuno degli spettri chiamati a raccolta dal suo flauto di ossa. Chiuderemo le frontiere, purificheremo le strade, butteremo a mare tutti i loro che non sono il noi di una comunità costituita solo da impauriti e da ipocondriaci, da servi e da padroni legati da una nuova fedeltà feudale. Ma poi anche il nostro giardino recintato prenderà l'aspetto di un angoscioso deserto irto di minacce, una galera troppo stretta ma, misteriosamente ancora troppo vasta. E non è detto che «finalmente si potrà dormire» con la tranquillità dei morti, come auspicava la voce profetica (e amorosa) dei coniugi di Erba. Questo contributo è stato pubblicato come editoriale su Derive/Approdi